VALLE GRANA: VALLE DEL GRANO
Il significato del suo nome, ha probabili origini medioevali allor quando i monaci benedettini stanziati nell’antico priorato di S. Maria della Valle, nel riportare il credo cristiano dopo le terribili scorribande saracene, iniziarono una importante bonifica del territorio circostante, divenuto fitta roncaglia per l’abbandono. Le terre diedero soddisfazione nella produzione di superbo grano, tanto da proferirgli l’importante nome.
Quel grano non inteso solo come frumento, in quel periodo di primaria importanza, ma anche di segale, avena, orzo, spelta, miglio, farro, sorgo. Cioè di granaglie. Immaginate una biondeggiante distesa, un manto dorato che copriva l’intero territorio come un luminoso mare baciato da un caldo sole.
La bassa e media valle, da Caraglio fin verso Monterosso (tranne la zona Palazzasso, perché coperta da una fitta foresta che si estendeva fino a Busca e le due Paschere, perché sedi di pascoli e gerbidi) divenne un vero e proprio granaio che, probabilmente, forniva con l’ausilio dei suoi numerosi molini, le ricercatissime farine all’intero Marchesato. Farine che dovevano essere di ottima qualità, adatte per profumati pani e per sostanziose polente. Già perché il termine polenta nasce molto prima dell’arrivo del mais nelle nostre zone e si produceva con il miglio, il sorgo, l’orzo o tutti i cereali misti fra di loro.
In Valle Grana abbiamo antiche pitture, vere fotografie del passato, che ritraggono questi cereali come sull’antico stemma del Comune di Valgrana dipinto sulla facciata della bellissima cappella di S. Bernardo, lungo la via che va a Montemale. L’immagine (1400 circa) raffigura tre spighe riunite che potrebbero indicare tre diverse granaglie. A sinistra si può scorgere una spiga con tracce di reste, tipiche della segale o di tutti i cereali restati; al centro una spiga a ferro di lancia che, anche per i colori, ricorda il sorgo; a destra una spiga senza reste, peculiarità di un tipo di grano ampiamente coltivato nel medioevo chiamato Calbigio (calvo).
Si estinse dai nostri luoghi forse a causa del repentino abbassamento delle temperature, causato dalla storica piccola era glaciale che, in passato, investi l’Europa e culminò nelle formidabili e memorabili gelate del periodo 1700-1850. Infatti, in quel periodo, in valle Grana, si sviluppò enormemente la coltivazione della segale a scapito di altri cereali, perché più resistente al freddo. In alcuni casi veniva mischiato al frumento invernale, sperando in annate più miti affinché si potesse ottenere una farina, chiamata Barbariato (imbastardito), per pani più digeribili.
testo a cura di Lucio Alciati
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Fonti