Il Marrone di Caraglio

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La castagna, tipica nella zona di Caraglio e della Valle Grana, è ottima come caldarrosta e squisita da essiccata integra o in farina per dolci e pani speciali. A Caraglio, come in tutte le altre valli e luoghi circostanti, hanno avuto un ruolo fondamentale nella passata economia e, in molti casi, nella sopravvivenza famigliare. Su di loro sono nate ricette, aneddoti, mercati e manifestazioni, narrazioni e proverbi che hanno tipicizzato i luoghi della sua coltura.

Ad esempio, nel caragliese, uno di questi proverbi recita: “il 10 agosto, giorno di San Lorenzo, la castagna deve essere grande come un seme di grano” a significare che, se era così, l’annata scorreva favorevole e nel giusto ritmo naturale.

Oppure le vecchie ricette, semplici, di come cucinare le castagne:
  • Le barote ovvero castagne bollite, fresche, in acqua bollente un poco salata, pelate o con la buccia
  • I mondai, ovvero castagne arrostite lasciandole covare, avvolte in una coperta. Consumate, dopo la cena, specialmente nella serata dedicata alla recitazione del rosario, coi parenti, per i propri defunti nell’appuntamento annuale a loro dedicato ( il 2 novembre). In tale occasione era tradizione lasciare, per la notte seguente, sul tavolo della cucina un poco di “mondai” e un bicchiere di vino novello locale, chiamato Merola, proveniente dalle vigne locali, per i morti che ritornavano in visita dall’aldilà.
  • Le bianche, le castagne venivano anche essiccate nei secou (seccatoi) per poter poi essere lessate, nel periodo invernale, nella “bronza” (paiolo di bronzo) in acqua, poi scolate e stufate nella stessa bronza, coperte da pezzi di giornale per assumere una crosta superficiale croccante. Venivano così gustate ed accompagnate da un mestolo di latte freddo con poco sale.
  • Le liguéttes sono una delle ricette tipiche della Valle Grana, ovvero le medesime castagne secche bianche cotte con poca acqua, per ore, sulla stufa fino ad assumere una consistenza morbida. Si mangiava pure il brodo di cottura e si diceva che il gusto pareva cioccolata.

A Caraglio era tradizione festeggiare la castagna arrostendola in piazza la terza settimana d’ottobre per distribuirla poi ai numerosi avventori, tra il fumo acre del fuoco di cottura. Nell’ambito della festa, si esponeva una mostra di antiche varietà di castagne e di prodotti da lei derivati.

Le varietà di castagno da frutto coltivate, in antichità e ancora ora (esistono esemplari di 500 anni di età) nel territorio caragliese, in particolar modo sulle colline delle frazioni di Paniale, di Bottonasco, del Castello, di Paschera S. Carlo e, specialmente, nella conosciuta e vocata Vallera, erano: le Tempurive, le Cervaschine (una variante delle Tempurive), le Rubiere, le Sirie (per la produzione della castagna secca e bianca), i Gentili, i Garroni rossi e neri, le Brunette, le Rossette, le Pajasse (un’antichissima varietà con pochissimi esemplari viventi), le pelose (ottime bollite) oltre a quelle di recente impianto (Bracalle).
Tuttavia pochi, anzi pochissimi, sono a conoscenza che nei boschi della Vallera di Caraglio veniva coltivato e, spero viva ancora, un ottimo marrone locale: il delizioso Marrone di Caraglio.
La sua storia è affascinante, al tipico marrone locale vennero riconosciute qualità eccezionali e circa un secolo fa godeva di importanza internazionale, ma la sfortuna vuole che per storture e confusioni linguistiche venne relegato ed entrò nel dimenticatoio.
  • Una pubblicazione del 1917, riedita nel 1934, intitolata: “Les plantes alimentaires chez tous les peuples et a travers le age” scritta da Désiré Bois, il quale cita “Le Marron de Vallere de Caroglio, d’Italie” e  li descrive “est aussi un fruit de grandes dimensiones, excellent pour le table et pour l’industrie; sa chair est ferme e trés sucrée”.  E’ evidente la storpiatura linguistica del nome di provenienza del marrone, a parte la stretta assonanza, si citano le Vallere, luogo specifico di Caraglio e la località Caroglio inoltre pare, da una ricerca internet, non esista sul territorio italiano.
  • Nella pubblicazione “Tra i castagni del cuneese” redatta ad opera del prof. Giancarlo Bounous con la collaborazione di Anna De Guarda Bounous, edita da Metafore di Cuneo, l’autore cita un Marrone di Garoglio descrivendolo “frutto brillante, bruno rosso chiaro a raggi regolari e ben netti; punta piccola e poco pelosa; stilo corto, cicatrice media a contorno irregolare, buccia di medio spessore, spesso con crepature orizzontali; pellicola sottile; polpa dura, molto zuccherina”. Una descrizione che ricalca quella espressa dal Désiré Bois e dal nome simile ma ancora ulteriormente storpiato (la G invece della C) che riporta al nome di Caraglio anche perché la località citata in quel modo pare che esista neppure sul territorio cuneese (neanche italiano).
  • Ma, finalmente, la prova provata che il marrone citato dalle suddette pubblicazioni si riferiva al dolce Marrone di Caraglio viene dalla scoperta del catalogo della esposizione e congresso intitolato “Châtaigne et châtaignier, exposition, congrés, de Limoges” avvenuta tra il 29 ottobre  ed il 2 novembre 1910, edito dalla Société Gay Lussac, dove viene citata, in modo corretto, la provenienza caragliese dell’eccellente marrone suddetto, descrivendolo in tal modo “Chair ferme et tré sucrée, Bogne ayant parfois jusqu’à trois fruits de premiere grosseur: Arbré cultivé à Caraglio, province de Cuneo. Le maron est une sous – varieté de Sardonne trés appreciée des confiseurs et des gourmets – Italie” Dove, anche qua la descrizione e perfettamente simile alle già succitate.

Da quell’esposizione di Limoges il nome di Caraglio venne storpiato in Caroglio e successivamente in Garoglio, relegando in tal modo, ingiustamente, quel ricercatissimo marrone, nell’orfanotrofio dell’eccellenze maldestramente perse per errore umano.

Testo a cura di Lucio Alciati